Titre

Marino encomiaste. Il Tempio come panegirico e come poema

Auteur Giovanni Pietro MARAGONI
Directeur /trice prof. Alessandro Martini
Co-directeur(s) /trice(s)
Résumé de la thèse

Il lavoro di tesi, ufficialmente avviato il 1°.VIII.2010, si è dapprincipio appuntato sul poema eroico L'Eracleide di Gabriele Zinano (Venezia, Deuchino, 1623), attraverso l'edizione commentata dei canti I-IV di essa e la pubblicazione in volume di un saggio di tali risultati (Manziana, Vecchiarelli, 2012; ISBN 978-88-8247-319-8). Il fuoco della ricerca si è quindi spostato sul Tempio, panegirico steso da Giovan Battista Marino in onore della regina di Francia Maria de' Medici e uscito a Lione nel 1615, proprio durante il viaggio che portò il poeta a Parigi, alla corte dell'ancor giovane re Luigi XIII.

Il testo del poemetto, già da me edito in una precedente curatela (Roma, Vignola, 1995) assieme a quello dell'invettiva antiugonotta La Sferza, abbisogna (a distanza di circa vent'anni, e con il profitto e il vantaggio derivanti dalle opportune osservazioni di più d'un autorevole recensore) di ritocchi, peraltro non innumerevoli. Il grosso dello sforzo oggi richiesto consiste dunque nell'allestire un commento, la cui elaborazione (tuttora [VII.2013] in corso) sta offrendo frutti indubbiamente, e a diverso titolo, interessanti. Anzitutto è stato possibile delucidare (quando più, quando meno agevolmente) i frequenti richiami del Tempio, sia alla cronaca e all'attualità, sia anche al tradizionale tesoro dei mitografi e dei compilatori. In secondo luogo, dallo scrutinio del testo è emersa tutta una serie di spunti tematici (quali l'adattamento del cliché delle istruzioni al pittore, il descrizionismo tra vena lessicografica e valorizzazione di linee e volumi, la nipiolalia, la plutografia) assai indicativi, pure all'interno delle finalità celebrative dall'autore perseguite, della sua peculiare poetica e sensibilità. Infine, quanto all'arte del verso e della strofa da Marino largamente e brillantemente dispiegata nel panegirico, l'esame ravvicinato delle sestine (unitamente all'opportuna dichiarazione di qualche passo dubbio) ha permesso di rilevare in esse, oltre il sapiente ricorso a stilemi più che familiari al conoscitore della langue secentesca (ogni possibile sorta di traslato, svariati sistemi di antitesi, lo stico tergemino, l'escatocollo nominale etc.), un fenomeno (già lucidamente individuato e mirabilmente interpretato da padre Pozzi in anni addirittura precedenti la sua edizione delle Dicerie) come la spazializzazione della sintassi, e cioè l'avvertimento e l'organizzazione dei costituenti e delle modalità d'essa alla stregua di stesure di opposti colori o comunque di unità investite di un valore iconico e visuale.

 

 

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